Pizzo (anche nota come Pizzo Calabro, U Pìzzu in calabrese[2]) è un comune italiano di 9 302 abitanti[1] della provincia di Vibo Valentia in Calabria.
È rinomata per la produzione del gelato noto come "tartufo" e per la qualità gelatiera in generale, tant'è che Pizzo è definita come "città del gelato".
Territorio
Pizzo è un borgo sulla costa, arroccato su di un promontorio al centro del Golfo di Sant'Eufemia.
Il suo territorio comprende una costa frastagliata, contraddistinta da
spiagge sabbiose in alcuni tratti e da scogli in altri. Sulla costa Nord
Est, dalla pineta Mediterranea fino alla rocca si estendono quasi 9 km
di ampie spiagge sabbiose. Al termine della contrada Marinella si alza
la montagna di Vibo, che fa da cortina al territorio, che ha il suo
confine con Maierato e Vibo Valentia
in alto, sul crinale delle colline. Più a Sud, dove si innalza il masso
tufaceo su cui nasce e si sviluppa Pizzo, la costa diventa rocciosa con
numerose calette e zone ricche di scogli naturali, nonché diverse
grotte, fra cui la Grotta Azzurra, riaperta negli ultimi anni, dopo vari
interventi per la protezione dal moto ondoso.
Nella zona centrale c'e' la spiaggia della Seggiola, piccolo
fiordo al centro del masso tufaceo su cui è arroccato l'abitato su cui
domina il Castello Aragonese eretto nella seconda metà del XV secolo da Ferdinando I d'Aragona e la Marina, graziosa località balneare nonché ritrovo notturno.
Storia
Come per molte altre località calabresi, nei secoli scorsi è stata
cercata una origine nell'antica Magna Grecia, con qualche eroe eponimo.
Così oggi alcuni ripetono che Pizzo è stata fondata da Nepeto ai tempi
dell'antica Grecia. Ma non c'è nessuna evidenza di ciò, anche se localmente qualcuno usa per motivi commerciali la dizione Napitia
"napizia", e la voce "napitini per gli abitanti. Ci sono notizie certe
dell'esistenza di un forte e di un borgo solo a partire dal 1300, e
dell'esistenza della comunità di monaci Basiliani, mentre restano tracce
nel territorio di un'antica attività di pesca, specialmente al tonno.
Il nome Pizzo ( = becco d'uccello, punto sporgente) si attaglia
perfettamente al promontorio tufaceo che sporge sul mare, elevandosi
dalla foce del fiume Angitola, fino alla spiaggia della Marina, dove fu
collocato nel XV secolo anche il piccolo forte Aragonese, detto oggi
Castello Murat, per i tragici eventi del 13 ottobre 1815.
La posizione forte, e il castello favorirono la crescita del
borgo marinaro, anche per la fortunata attività di pesca del tonno. Per
secoli, i tonni dominarono il mondo raggiungendo a milioni le spiagge
del golfo di S. Eufemia, e qui sorsero i famosi tonnocastelli di Bivona e
di Pizzo. Proprio a fianco della Chiesa della Piedigrotta,
nella spiaggia denominata Prangi, nella zona detta Centofontane, per
l'esistenza ancora attuale di moltissime fonti di acqua dolce, il rais
ed i suoi uomini collocavano, fino agli anni settanta la tonnara che
veniva tenuta da cavi che partivano dalle rocce a terra, sotto l'attuale
Chiesa di S. Francesco di Paola. Nelle rocce a mare ci sono le tracce
di questa attività. È crollato l'arco di pietra che teneva il cavo, ma
si notano piscine, scale, scavi, vaschette, irrorati dalle fonti di
acqua dolce oggi poco copiose, dove probabilmente si lavavano i tonni.
Nel mare appaiono sommersi oggi cinque lunghi moli perpendicolari, in
località Prangi /CentoFontane / grotta del Bue.
Nella zona Piedigrotta /Prangi sono quasi crollate le grotte del
Bue (si pensa che ci fosse ancora in epoca ottocentesca la foca monaca,
detta bue marino), e del Saraceno /Centofontane. La grotta del Saraceno,
immensa, oggi pericolante è oggetto di una tradizione secondo cui per
anni fosse usata dai pirati saraceni e barbareschi, come deposito delle
prede e delle persone catturate nelle incursioni nei paesi dell'interno.
Ciò è possibile considerando che quella zona del litorale è rimasta
spopolata per secoli proprio a causa dell'incessante azione banditesca
di pirati di diversa origine, impegnati nella cattura del bestiame umano
(schiavi), forza motrice dell'antichità. Pizzo era famosa in epoca
borbonica come località di arrivo della nave postale da Napoli, anche se
non aveva un porto vero e proprio, e come posto di provenienza di pesci
prelibati, in primis il tonno, fresco o sott'olio. I re Borboni spesso
facevano richiesta di tonno ed altri pesci, per cui Pizzo andava famosa.
I Borboni
fecero qualche intervento per Pizzo, e c'è traccia del viaggio del 1854
del Re Ferdinando II, che venne in Calabria con l'esercito napoletano
in esercitazione armata, e con il figlio Francesco (da lui chiamato
Ciccillo). Una notte il Re era rimasto impantanato alla foce del fiume Angitola,
ed i Pizzitani gli offrirono ospitalità, in case signorili, ma il re
volle accettare l'ospitalità del convento di San Francesco di Paola, cui
era devotissimo. Si tramanda che il convento fosse assolutamente
impreparato a ricevere il re e che non avessero nemmeno l'acqua. Sul
corso c'è la targa che ricorda l'evento. Il castello testimonia la
presenza degli aragonesi nel XV secolo.
Proprio in questo luogo, il castello Aragonese, fu tenuto prigioniero e in seguito condannato a morte Gioacchino Murat, re di Napoli e cognato di Napoleone Bonaparte.
Venne fucilato il 13 ottobre 1815, dopo alcuni giorni di prigionia e un
processo fatto nella sala principale del castello e fu poi sepolto
nella chiesa di San Giorgio. Oggi il castello aragonese di Pizzo viene
denominato Castello Murat. All'interno del Castello c'è il museo
provinciale murattiano.
Nessun commento:
Posta un commento